domenica 12 maggio 2013

Riflessioni, ansie, scleri, fantasmi del passato.


Ci sono cose di qui che ormai fanno parte di me.
Non so spiegare cosa mi porti davvero, la sera, a salire le scale del mio letto al buio e on inciampare e a tendere la mano sicura di trovare immediatamente l’interruttore della lampadina. O in base a cosa la mattina, con gli occhi impeciati di sonno, trovi a colpo sicuro il mio spazzolino nel mobiletto del bagno.
Sono quelle cose che ci sembrano scontate, ma che a pensarci bene non le potremmo mai fare a casa di altri. Sono quelle cose che, una volta rientrata dal Giappone, saranno rimaste intatte e invariate. Solo che forse riuscirò a farle anche in un’altra casa, a mezzo globo di distanza.
Suppongo che siano proprio queste piccolezze insignificanti che ci fanno sentire di appartenere a un luogo piuttosto che a un altro.
La notte, specialmente, mi sembra di essere l’anima di questi muri.
Quando non ci sarò più e avrò impacchettato tutti i libri e i fumetti, rimbiancato i muri e svuotato l’armadio, forse la mia famiglia starà un po’ male. Come quando muore qualcuno e si constata, dopo il ridicolo tentativo di nascondere tutte le tracce della sua presenza, che non è servito a niente. Che il letto in cui dormiva, la scrivania su cui studiava e i poster che aveva appeso sono rimasti a ricordarci che quelle cose non sono legate né a me né a te, ma a qualcuno che amiamo e che non possiamo abbracciare. In fin dei conti, staranno peggio loro di me.

La mamma ha letto il blog, probabilmente di nascosto.
Lo so perché lunedì scorso se n’è uscita con un: “andiamo a comprare la valigia”. In quel momento ho capito che genere di persona speciale sia mia madre, e quanto io sia fortunata ad averla accanto. Una donna che piuttosto che vedermi in ansia sacrifica l’unico pomeriggio libero di tutta la settimana per accompagnarmi a scegliere la valigia con cui partirò.
Siamo andati in un negozio vicino a via della Scala, e ho comprato una valigia a parer mio bellissima. E’ rigida ed ha un decoro di mattoncini allungati tutti colorati e sfalsati. Al sole, in autobus, brillava. L’ho chiamata R.R. Pearl.
Pearl l’ho scelto con Sabrina, piaceva a entrambe e poi ci rimandava alle mente il “Pearl Sapphire Blue”, il colore dei Super Junior. R.R. invece sono le iniziali della nonna e della zia, visto che la valigia me l’hanno regalata con i loro soldi.
Tutto insieme crea un mix molto sofisticato ed elegante che mi soddisfa alquanto. R.R. Pearl mi piace, sì.

Inoltre dall’inizio della mia tortura chiamata jogging ho finalmente perso circa 4 kg. Non è lontanamente sufficiente, ma inizio a vedere il fisico che si asciuga un po’ e che riprende forma… spero davvero di farcela entro la partenza.
Viola (la mia personal trainer/motivatrice/angelo custode/assassina - dipende dal giorno e dal percorso che mi fa fare) mi dice che una volta dimagrita troverò un ragazzo in Giappone.
Io non lo faccio per trovarmi un ragazzo, però. In realtà i ragazzi giapponesi mi danno l’idea di trovarsi proprio sulla punta della piramide-dei-ragazzi-inavvicinabili, un po’ perché forse sono timidi, un po’ perché le occidentali li irritano con il loro carattere estroverso… non lo so, ecco. So solo che non voglio preoccuparmene, è il MIO ANNO e l’ultima cosa che voglio fare è avvelenarmi il fegato dietro a un ragazzo che mi guarda come se fossi un marziano che balla la tarantella.
In realtà voglio dimagrire per me stessa. Voglio mettermi la divisa e dire: WOW, Dafne, sei stupenda. E’ qualcosa che non mi sono mai detta, ma quel giorno voglio davvero farlo. Voglio camminare per i corridoi nella scuola senza sentirmi un abominio, così tonda rispetto alle altre ragazze che sembreranno degli stuzzicadenti. Sì, durante il MIO ANNO voglio davvero sentirmi bella. Per questo sto lottando contro la pigrizia con tutte le mie forze, e il fatto di riuscirci mi sta facendo acquisire fiducia in me stessa.
Il fatto è che non cambia niente in realtà se sono ragazzi giapponesi, italiani o se vengono da un universo parallelo. Credo che le storie d’amore non facciano per me.

E’ vero, non dovrei dirlo dopo un solo tentativo, ma la mia ultima cotta mi ha distrutto psicologicamente. Lui senza neanche accorgersene mi ha detto e fatto cose che hanno distrutto tutta la mia autostima, tutto il mio amor proprio e tutta la mia voglia di rimettermi in gioco. Non andava bene la mia altezza, la larghezza delle mie spalle, ed ero grassa. Per lui c’era sempre qualcosa che non andava nei vestiti o nel trucco, e mi chiamava Bafne. Mi viene da piangere a ripensarci.
In realtà non gliene faccio una colpa, aveva ragione su tutto. Ancora dopo un anno non me la sento di rinfacciargli niente, visto che non sono cambiata di una virgola; continuo ad essere una stangona con le spalle da armadio, i fianchi larghi e un pessimo gusto nel vestire. Il trucco neanche lo metto più, da allora.
E alla domanda: ti rifarai umiliare così da un ragazzo?, la risposta è no. Anche in giapponese.

Nel frattempo, nessuno mi aggiorna su niente. Mancano 25 giorni di scuola, ma siccome mercoledì vado a Roma con la nonna e il 20 ho il Zertifikat Deutsch, per me sono 23. Mi sembra comunque un’eternità. Un’eternità in cui spero troveranno il tempo per comunicarmi la famiglia. Giuro che sto per morire.
Sinceramente se devo dare una preferenza su come la famiglia dovrebbe essere, non saprei proprio. Un giorno vorrei una sorella ospitante della mia età, un altro mi piacerebbe che per casa girassero dei bambini. Oggi ad esempio vorrei che si avverasse il Sogno.

Il Sogno è un episodio molto inquietante capitato un paio di settimane fa. Trovandoci la domenica a fare colazione tutti insieme, io ho detto: «Stanotte ho sognato il mio fratello ospitante».
Il babbo mi ha guardato sorpreso: «Davvero? Anch'io!».
Confrontandoci risultava dai due sogni che questo famigerato fratello era la stessa persona. La mia età, piuttosto basso, non eccessivamente carino ma aveva l’aria simpatica e soprattutto parlava un po’ d’italiano. Solo un po’. In entrambi i sogni.
Per un paio di giorni ho creduto fosse un segno del destino, ma probabilmente la spiegazione più plausibile è che ci è rimasta sullo stomaco la stessa roba, quella notte. Però un fratello ospitante…
A discapito di quello che ho detto più su, sono stata sempre più brava a fare amicizia con i maschi che con le femmine. L’arte di socializzare con queste ultime l’ho appresa in parte alle medie e consolidata solo al liceo. E’ vero che i maschi giapponesi sono proprio una razza a sé, ma averne un esemplare all'apparenza così disponibile in casa forse mi aiuterebbe a capirli un po’, a imparare il metodo e a fare amicizia anche con qualche esponente meno mordace.

Però alla fin fine chissene frega. Mi basta avere una famiglia, poi può essere anche popolata da canguri nani della Patagonia (?), voglio solo mettere fine a questa ansia insopportabile chiamata “non sapere”. 

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