domenica 26 maggio 2013

Date e Pesi Scomodi sulle Spalle

Ecco a voi qualche novità.
No. Non si tratta della famiglia, che, per quanto mi hanno detto, potrebbe arrivarmi anche 10 giorni prima di partire.
Il lato positivo è che oggi ho saputo che me la daranno entro il 18 agosto. Sì, perché pare proprio che partirò il 28 agosto, a meno che non cambino tutto per la seconda volta.
Inutile dire quanto ci sono rimasta male.
Io pensavo di partire almeno un mese prima… così non solo sarò costretta in questo schifo di Paese per un mese in più, ma quando arriverò là non avrò nemmeno il tempo di ambientarmi un po’ e mi avranno già sbattuta dietro un banco di scuola.
In più mi è arrivata tutta la documentazione per la richiesta del visto, e sembra una procedura lunghissima, da latte alle ginocchia,  dove spenderò altri soldi. Non mi sono neppure trovata un lavoretto, ancora…
Tutto questo spendere e spandere sta allargando a macchia d’olio i miei sensi di colpa.


Riguardo al “questo schifo di Paese” di qualche riga sopra, mi sembra comunque opportuno fare una precisazione. Non è la tipica frase riassumibile con un “l’erba dei vicini è sempre più verde”.
E’ che l’Italia è veramente un Paese orribile e senza speranza. In realtà è bello, bellissimo. Abbiamo roba che ci invidiano fino all'altro capo del mondo e io che vivo a Firenze lo so bene, viste le orde di turisti che mi sono allenata a scansare mentre cammino per il centro.
Il punto è che l’italiano medio è un essere non propriamente definibile “civilizzato”. Non dico che le eccezioni non esistano, e mentirei se dicessi che sono poche, però, come dire, non bastano. Senza contare che mentre loro cercano di condurre una vita eticamente decente, l’italiano medio è sempre in agguato per far passare tutti i suoi connazionali per dei barbari ignoranti, disonesti e maleducati.
Oggi, tanto per peggiorare il mio umore già cupo, ecco finalmente che è arrivata la tipica “goccia che fa traboccare il vaso”.
Per qualche oscura ragione oggi Psy è stato invitato a cantare al derby della Roma, e si sapeva come sarebbe andata, lo sapevamo TUTTI.
Insomma, è stato sfottuto e fischiato e come risultato in Corea ora ci stanno un po’ tutti mandando a ca***e. In fumo qualsiasi possibilità di avere un concerto KPOP qui.
Ma a parte questo, insomma…. Che vergogna! Sono troppo triste e disgustata per commentare oltre.
Quel che è certo è che è solo uno dei miliardi di episodi similari di cui ci macchiamo le mani.
All'Estero siamo quelli che votano un miliardario sotto processo che prostituisce le minorenni, quelli dello Stato in cui non funziona niente, manchiamo totalmente di rispetto verso il prossimo, siamo ignoranti e disonesta, pizza, mafia e mandolino.
E voi ve la sentireste di contraddirli? SUL SERIO???
Pensate che all'Estero certe cose succedano? Pensate davvero che all'Estero i bus passino quando vogliono, che dei parlamentari sotto processo si candidino alle elezioni, che si fischino i cantanti stranieri e che la gente non evada il fisco?
Ecco la bandiera che mi accompagnerà in Giappone, una bandiera coperta di spazzatura.
E io potrò anche mettercela tutta per  fare una bella figura, ma cambierà davvero qualcosa?
In tutta sincerità, essere italiana non è niente di cui andare fieri, piuttosto è un peso enorme, qualcosa che vorrei nascondere al resto del mondo; ma è come quando si mette la polvere sotto il tappeto… prima o poi ci inciampi e la vedranno tutti.
Anche se so che il ruolo dell’Exchange Student è anche quello di accollarsi tutti gli stereotipi della propria Nazione e, se necessario, smentirli, in questo momento preferirei davvero essere francese o inglese.
Sì, perché oltre che avere il lavoro dimezzato, probabilmente avrei ancora un minimo di voglia di portare onore e rispetto verso la mia patria.
Io questa voglia l’ho persa da tanto ormai. Rischierei di dire cose in cui non credo se difendessi la mia nazionalità, e mi rifiuto di considerarmi italiana.
Pensate quello che volete sugli italiani, tranquilli, tanto non mi offendo, avete ragione su tutto.

domenica 19 maggio 2013

Compagni di viaggio - parte 1

I miei trovano divertente dissanguarsi il portafoglio, è evidente. Insomma, se non fossero così masochisti probabilmente non avrebbero mai detto di sì alla mia malsana idea di passare un anno in Giappone. 
Ma non credevo che la cosa fosse contagiosa. Beh, non lo so come hanno fatto, ma insomma, ecco qua tutti i regali che valgono una miniera d'oro e che i miei parenti mi hanno fatto per passare il mio bell'anno in Giappone in tutta tranquillità (seh, certo).


Primo regalo: RR. Pearl. 
Ne avevo già parlato qualche post fa, lei è la mia valigia. E' un regalo da parte della mia prozia e in parte della nonna. Inutile dire che la amo esageratamente e che ucciderei per proteggerla. In foto sembra più un pesce arcobaleno che altro, ma vi giuro che dal vivo i mattoncini sono belli grandi e sembra una caramella giapponese. ♥


Secondo regalo: Fabanan, detto Oscar.
E' un fottutissimo Galaxy Tab2, una roba che avevo pure paura di prendere in mano. Appena ho ragionato sul possibile prezzo ho sentito che mi sarebbe potuto venire un infarto, e quindi ho semplicemente chiuso gli occhi e inspirato. I folli dietro a questo gioiellino sono stati i miei in collaborazione con lo zio, da qui lo strano nome Fabanan (Fabiana, Antonio, Andrea). Per gli amici però si chiamerà Oscar.
Il tablet, INDISPENSABILE per vivere in Giappone, mi è stato regalato con tanto di cover verde-stupendo, e lo amo. Ci ho messo più di 24 ore di uso ininterrotto per scaricarlo del tutto ♥



 Terzo regalo: Grandpa.
Mi mancava proprio lei all'appello, la macchina fotografica. La foto è presa da internet perchè logicamente non potevo auto-fotografarla, ma è esattamente così. Qui devo ringraziare il mio nonno paterno, è stato la gentilezza fatta persona ♥ Dal momento che George era già il nome del mio sedere, ho optato per affibbiarle il più semplice nome di Grandpa, che inoltre fa tanto sweet-cute-kawaii ecc ecc ecc...
Grandpa sarà i miei occhi e le mie orecchie... fa addirittura i filmati in HD, cosa che A-DO-RO visto che avevo pure intenzione di fare un bel vlog e comunque di girare tanti bei video del mio anno da exchange student. L'ho già testata e sono più che soddisfatta, inoltre è veramente bellissima.
Sembra professionale ed ha un gusto incredibilmente retrò con quel flash apri-e-chiudi e l'obiettivo sporgente con tanto di tappino *^* *lancia cuori*
Ecco fatto, vi ho presentato i miei tre compagni di viaggio tecnologici.Quelli per cui sto lanciando cuori da due giorni e per i quali mi sto anche sentendo tremendamente in colpa.
Giuro che quando torno mi trovo un lavoro decente e rendo tutto a tutti fino al più minuscolo centesimo.

Ancora nessunissima notizia dalla famiglia. Forse non mi vuole nessuno in Giappone. *si asciuga una lacrima*
Semmai questo stupido blog verrà letto da qualche exchange student in Giappone-wannabe, vorrei che si preparasse psicologicamente al fatto che lo stress e l'ansia inizieranno mooooooolto prima della partenza. MA MOLTO PRIMA.
Finchè non ci sei dentro non puoi capire com'è essere a un passo dal tuo sogno e avere ancora millanta cose da fare, tipo il visto, e sai che dovrai spendere ancora millanta euro e nel frattempo starsene con le mani in mano perchè... perchè la chiave sta tutta in quella maledetta famiglia. Senza famiglia non puoi andare avanti, non puoi fare il visto, non puoi preparare i vestiti, non puoi sapere cosa farai, in che scuola andrai...
E va a finire che stai tre mesi a deprimerti e a sclerare, eccetto i momenti in cui invece che studiare per concludere l'anno decentemente passi il tempo incollata allo schermo di un pc a guardare i vlog di Orangetummy o di Hannah Garrett, a leggere blog di exchange in Giappone e a guardare foto di divise scolastiche mangiando il risotto che ha fatto tua madre con le bacchette.
Sì, ora sclero.
Chiudo qui prima di iniziare a scrivere tutte le cose spaventose che mi passano per il cervello. Adieu miei cari lettori. ♥

lunedì 13 maggio 2013

Storia di una Pallina Magica e del suo viaggio verso il Giappone.


Oggi ho fatto una cretinata assurda. E per assurda intendo che in questo momento a ripensarci mi vergogno davvero di averla fatta.
Ma siccome l’ho fatta, e un motivo c’era, ho deciso di raccontarvela comunque.
Anche solo per rileggerla per conto mio, tra tanto tempo, e trarne le mie conclusioni.
Forse sono solo una pazza, fatto sta che nel tragitto che faccio a corsa tutti i giorni, al ritorno mi capita di correre verso est; lo so perché è pomeriggio, ho il sole alle spalle e proietto l’ombra dritta davanti a me.
Di solito mi limito a pensare cose come: ahah, che buffo, sto correndo verso il Giappone, arrivo!
Oggi però mi sono fermata in fondo alla strada, prima di svoltare. C’è un muretto con una rete che separa la strada da un campo scosceso. Praticamente davanti a me in linea d’aria ci sono le colline, ma sono veramente lontane. E allora che ho fatto?
Mi sono chinata e ho “raccolto” un po’ d’aria, poi ne ho fatto una pallina. Sì, lo so, sono matta, una che si mette a modellare il niente come se fosse pongo.
Fatto sta che ho plasmato questa pallina, e come se non bastasse l’ho lanciata verso le colline, verso est.
La mia pallina è una pallina magica.
Non è fatta di materia, e quindi viaggerà senza mai toccare terra o incontrare ostacoli. Anche adesso è in viaggio. Arriverà in Giappone e cadrà in testa a un membro della mia famiglia ospitante sprigionando tutta la sua magia, e così lei/lui dirà: voglio questa Dafne e solo lei.
Quando riceverò la fatidica mail, saprò che la pallina è arrivata a destinazione.
Non chiedetemi perché ho fatto questa cosa, so solo che la pallina magica c’era davvero.
Certe volte noi esseri umani ci dimentichiamo che la vita non è tutta leggi della fisica e reazioni chimiche. Che crediamo o meno nell'esistenza di Dio, ci sono momenti della vita in cui capiamo che quello che ci sta succedendo dipende per gran parte da tutta una serie di curiose coincidenze, o che quello che ci fa scegliere una persona piuttosto che un’altra non ha niente a che vedere con la teoria della relatività. Certe volte, a distanza di kilometri, sentiamo quello che sta succedendo a un fratello o a un amico.
Perciò ecco, anche se è imbarazzante, io so di aver davvero lanciato “qualcosa” che ora sta viaggiando dritto dritto verso la mia nuova famiglia, e so che farà la scelta giusta.
Ora devo solo aspettare.

domenica 12 maggio 2013

Riflessioni, ansie, scleri, fantasmi del passato.


Ci sono cose di qui che ormai fanno parte di me.
Non so spiegare cosa mi porti davvero, la sera, a salire le scale del mio letto al buio e on inciampare e a tendere la mano sicura di trovare immediatamente l’interruttore della lampadina. O in base a cosa la mattina, con gli occhi impeciati di sonno, trovi a colpo sicuro il mio spazzolino nel mobiletto del bagno.
Sono quelle cose che ci sembrano scontate, ma che a pensarci bene non le potremmo mai fare a casa di altri. Sono quelle cose che, una volta rientrata dal Giappone, saranno rimaste intatte e invariate. Solo che forse riuscirò a farle anche in un’altra casa, a mezzo globo di distanza.
Suppongo che siano proprio queste piccolezze insignificanti che ci fanno sentire di appartenere a un luogo piuttosto che a un altro.
La notte, specialmente, mi sembra di essere l’anima di questi muri.
Quando non ci sarò più e avrò impacchettato tutti i libri e i fumetti, rimbiancato i muri e svuotato l’armadio, forse la mia famiglia starà un po’ male. Come quando muore qualcuno e si constata, dopo il ridicolo tentativo di nascondere tutte le tracce della sua presenza, che non è servito a niente. Che il letto in cui dormiva, la scrivania su cui studiava e i poster che aveva appeso sono rimasti a ricordarci che quelle cose non sono legate né a me né a te, ma a qualcuno che amiamo e che non possiamo abbracciare. In fin dei conti, staranno peggio loro di me.

La mamma ha letto il blog, probabilmente di nascosto.
Lo so perché lunedì scorso se n’è uscita con un: “andiamo a comprare la valigia”. In quel momento ho capito che genere di persona speciale sia mia madre, e quanto io sia fortunata ad averla accanto. Una donna che piuttosto che vedermi in ansia sacrifica l’unico pomeriggio libero di tutta la settimana per accompagnarmi a scegliere la valigia con cui partirò.
Siamo andati in un negozio vicino a via della Scala, e ho comprato una valigia a parer mio bellissima. E’ rigida ed ha un decoro di mattoncini allungati tutti colorati e sfalsati. Al sole, in autobus, brillava. L’ho chiamata R.R. Pearl.
Pearl l’ho scelto con Sabrina, piaceva a entrambe e poi ci rimandava alle mente il “Pearl Sapphire Blue”, il colore dei Super Junior. R.R. invece sono le iniziali della nonna e della zia, visto che la valigia me l’hanno regalata con i loro soldi.
Tutto insieme crea un mix molto sofisticato ed elegante che mi soddisfa alquanto. R.R. Pearl mi piace, sì.

Inoltre dall’inizio della mia tortura chiamata jogging ho finalmente perso circa 4 kg. Non è lontanamente sufficiente, ma inizio a vedere il fisico che si asciuga un po’ e che riprende forma… spero davvero di farcela entro la partenza.
Viola (la mia personal trainer/motivatrice/angelo custode/assassina - dipende dal giorno e dal percorso che mi fa fare) mi dice che una volta dimagrita troverò un ragazzo in Giappone.
Io non lo faccio per trovarmi un ragazzo, però. In realtà i ragazzi giapponesi mi danno l’idea di trovarsi proprio sulla punta della piramide-dei-ragazzi-inavvicinabili, un po’ perché forse sono timidi, un po’ perché le occidentali li irritano con il loro carattere estroverso… non lo so, ecco. So solo che non voglio preoccuparmene, è il MIO ANNO e l’ultima cosa che voglio fare è avvelenarmi il fegato dietro a un ragazzo che mi guarda come se fossi un marziano che balla la tarantella.
In realtà voglio dimagrire per me stessa. Voglio mettermi la divisa e dire: WOW, Dafne, sei stupenda. E’ qualcosa che non mi sono mai detta, ma quel giorno voglio davvero farlo. Voglio camminare per i corridoi nella scuola senza sentirmi un abominio, così tonda rispetto alle altre ragazze che sembreranno degli stuzzicadenti. Sì, durante il MIO ANNO voglio davvero sentirmi bella. Per questo sto lottando contro la pigrizia con tutte le mie forze, e il fatto di riuscirci mi sta facendo acquisire fiducia in me stessa.
Il fatto è che non cambia niente in realtà se sono ragazzi giapponesi, italiani o se vengono da un universo parallelo. Credo che le storie d’amore non facciano per me.

E’ vero, non dovrei dirlo dopo un solo tentativo, ma la mia ultima cotta mi ha distrutto psicologicamente. Lui senza neanche accorgersene mi ha detto e fatto cose che hanno distrutto tutta la mia autostima, tutto il mio amor proprio e tutta la mia voglia di rimettermi in gioco. Non andava bene la mia altezza, la larghezza delle mie spalle, ed ero grassa. Per lui c’era sempre qualcosa che non andava nei vestiti o nel trucco, e mi chiamava Bafne. Mi viene da piangere a ripensarci.
In realtà non gliene faccio una colpa, aveva ragione su tutto. Ancora dopo un anno non me la sento di rinfacciargli niente, visto che non sono cambiata di una virgola; continuo ad essere una stangona con le spalle da armadio, i fianchi larghi e un pessimo gusto nel vestire. Il trucco neanche lo metto più, da allora.
E alla domanda: ti rifarai umiliare così da un ragazzo?, la risposta è no. Anche in giapponese.

Nel frattempo, nessuno mi aggiorna su niente. Mancano 25 giorni di scuola, ma siccome mercoledì vado a Roma con la nonna e il 20 ho il Zertifikat Deutsch, per me sono 23. Mi sembra comunque un’eternità. Un’eternità in cui spero troveranno il tempo per comunicarmi la famiglia. Giuro che sto per morire.
Sinceramente se devo dare una preferenza su come la famiglia dovrebbe essere, non saprei proprio. Un giorno vorrei una sorella ospitante della mia età, un altro mi piacerebbe che per casa girassero dei bambini. Oggi ad esempio vorrei che si avverasse il Sogno.

Il Sogno è un episodio molto inquietante capitato un paio di settimane fa. Trovandoci la domenica a fare colazione tutti insieme, io ho detto: «Stanotte ho sognato il mio fratello ospitante».
Il babbo mi ha guardato sorpreso: «Davvero? Anch'io!».
Confrontandoci risultava dai due sogni che questo famigerato fratello era la stessa persona. La mia età, piuttosto basso, non eccessivamente carino ma aveva l’aria simpatica e soprattutto parlava un po’ d’italiano. Solo un po’. In entrambi i sogni.
Per un paio di giorni ho creduto fosse un segno del destino, ma probabilmente la spiegazione più plausibile è che ci è rimasta sullo stomaco la stessa roba, quella notte. Però un fratello ospitante…
A discapito di quello che ho detto più su, sono stata sempre più brava a fare amicizia con i maschi che con le femmine. L’arte di socializzare con queste ultime l’ho appresa in parte alle medie e consolidata solo al liceo. E’ vero che i maschi giapponesi sono proprio una razza a sé, ma averne un esemplare all'apparenza così disponibile in casa forse mi aiuterebbe a capirli un po’, a imparare il metodo e a fare amicizia anche con qualche esponente meno mordace.

Però alla fin fine chissene frega. Mi basta avere una famiglia, poi può essere anche popolata da canguri nani della Patagonia (?), voglio solo mettere fine a questa ansia insopportabile chiamata “non sapere”. 

giovedì 2 maggio 2013

Notti insonni.


Scritto stanotte, ore 00.27

Non posso dormire. Il letto è un posto scomodo per pensare.
Per quanto cerchi di negarlo io appartengo alla notte;  è il momento in cui non importa quanto stanca io sia, ma i pensieri iniziano a fluire come in un fiume in piena.
Specialmente ora che ricomincia a fare caldo e penso, oddio, fra meno di un mese arriva l’Estate.
E mi giro e rigiro nel letto pensando a come sarà la mia prima notte in Giappone, al paesaggio che vedrò dalla finestra della mia camera quando, non riuscendo a dormire, mi alzerò per mettermi a scrivere nel cuore della notte.
Pensavo di essermi immaginata tutto in questi due anni e invece mi rendo conto di non aver immaginato niente. Ci sono così tante cose a cui non ho pensato…
Come la divisa, eh?! Per mesi e mesi mi sono concentrata sul fatto di volerla indossare ad ogni costo fino al punto di realizzare solo un mese fa che avrei dovuto perdere 10 kg per portarla decentemente.
Non ho nemmeno la valigia.
Devo organizzare talmente tante cose ancora che a pensarci mi viene da piangere, e spenderò così tanti soldi…. Sto odiando ogni centesimo che sto facendo uscire dalle tasche dei miei, ultimamente. Questo mi ricorda che devo anche trovarmi un lavoretto.
Con questo nervosismo addosso, i dubbi, i punti interrogativi, l’impazienza di sapere… come si presume che io dorma? Forse un giorno rileggendo tutto questo mi riderò in faccia. Lo spero.
Spero di non ricordare questo momento.
L’ansia opprimente che mi fa venire i dolori intercostali, il peso sul petto, le lacrime di stizza sempre pronte a uscire. Il rendersi conto che non è normale, cavolo, stare così quando ancora mancano almeno tre mesi alla partenza, e nonostante ciò non riuscire a smettere.
Voglio un nome, un cavolo di nome. In modo da dire: “vado nel posto XX, so cosa mettere in valigia, so a che prepararmi psicologicamente, quanti fratelli e sorelle ho, come sarà la mia scuola, quanto costerà la divisa e la data della partenza!”
Voglio piangere, giuro. Voglio piangere di frustrazione.
Voglio già essere là con i miei 10 kg in meno, i soldi per la divisa guadagnati, i capelli stirati e niente più compiti di tedesco di cui preoccuparmi. Voglio riuscire a finire tutto e a far passare questi ultimi mesi in un lampo. Voglio, voglio, voglio.
Voglio essere felice.
Sto facendo il conto dei giorni che mancano a finire la scuola, ed è la prima volta che avviene nella mia vita.
Entrando, la mattina, mi assicuro di disprezzarla il più possibile. Io la odio, quella scuola.
Odio la sua facciata grigia che cade a pezzi, i corridoi spogli, i muri sporchi e gli angoli pieni di ragnatele. Odio la mia classe che sembra una prigione, con la lavagna rotta e i banchi vecchi e graffiati tutti appiccicati gli uni agli altri. Odio i bagni. Quei bagni freddi e sempre guasti, con le porte bucate e senza chiave, che mentre fai pipì devi tenerle ferme con i piedi. Odio la loro onnipresente puzza di fumo e la cenere sulla seggetta del water.
E odio i restanti 31 giorni che dovrò passare qui con il chiodo fisso della scuola che frequenterò l’anno prossimo. Una scuola bellissima, grande e pulita, con palestre sconfinate, laboratori, classi spaziose e bagni funzionanti. Sono certa che appena ci metterò piede piangerò di commozione.
Forse se le scuole italiane assomigliassero a scuole vere invece che a vecchie caserme maleodoranti ci sarebbe meno abbandono scolastico. Ma questa è solo una mia supposizione.
Ad ogni modo, 31 giorni. Sembrano un’infinità.
E la divisa. Oh, la divisa! Vorrei tanto potermi pagare da sola almeno quella… è il mio chiodo fisso. Sto facendo un sacco di sacrifici per dimagrire. Sono disposta a tutto, per la divisa. Tutto.
Vorrei una divisa da quando avevo 8-9 anni e guardavo Card Captor Sakura in TV. Posso dire che la mia voglia di vivere in Giappone sia nata proprio così, in realtà.
Sarò talmente emozionata, il giorno che andrò a comprarla… E quindi è fondamentale che vedendomi allo specchio non pensi le solite cattiverie su di me, ma sia soddisfatta. Non è come il vestito del ballo di fine anno per gli statunitensi o l’abito da sposa. Non sarà qualcosa che sceglierò io in modo che si adatti alle mie imperfezioni; è qualcosa in cui devo e voglio con tutto il cuore sentirmi finalmente bella. QUINDI a costo di non mangiare niente per tre mesi, fare tre ore di jogging al giorno invece che una e mezza, uccidermi, tagliarmi via la ciccia superflua con la motosega, io quei kg li perdo entro agosto. Lo giuro, lo giuro!
Domani vorrei svegliarmi e vedere che c’è il sole. E uscita da scuola pensare che mancano 30 giorni e non più 31. Ma la cosa che voglio di più è tornare a casa, accendere il computer, aprire la posta elettronica e vedere che c’è quella maledetta mail.
Ma non succederà.
Domani le previsioni danno acqua e quando rientrerò da scuola sarò troppo annoiata per fare qualsiasi cosa.  E quando riuscirò ad aprire la posta elettronica il massimo che troverò sarà una notifica di twitter. Dovrò aspettare ancora un mese, un mese e mezzo minimo, e intanto io muoio dentro.
Cosa devo farci?
Nel frattempo vivo in un sogno ad occhi aperti senza nomi né facce, senza contorni.
Tre mesi, Dafne. Tre mesi, che vuoi che siano. Volano.