lunedì 10 marzo 2014

Se Kobe fosse un ragazzo...

Credo che le città siano come le persone, abbiano un'anima propria.
Per questo ci ritroviamo inconsapevolmente ad amare un posto piuttosto che un'altro.
È questione di feeling, di auree che si attraggono, di compatibilità d'anime.
Per questo, pur abitando a Koshien, nel punto esattamente a metà fra Osaka Umeda e Kobe Sannomiya, dove entrambe le destinazioni costano 260 yen, e si raggiungono negli stessi 13 minuti, preferisco di gran lunga montare sul treno per Sannomiya.
Mi siedo sulle poltroncine e guardo il paesaggio scorrere fuori dai finestrini, con i palazzi alti 13 piani alternati a casette basse con i tetti a spiovente laccati di verde e azzurro tutte appiccicate le una alle altre, sentendo il cuore farsi leggero leggero.
Credo che se Kobe fosse un ragazzo, ne sarei innamorata.
Non di un amore passionale come con Kyoto, né come quello "di convenienza" con Osaka.
Sono due città che amo moltissimo, ma Kobe è Kobe.
Kobe è vivace, sporca, intricata e un po' decadente. Perdersi è un istante. Ma non è un perdersi vero e proprio, quanto un lasciarsi guidare dentro un nuovo angolo, un nuovo vicolo, un nuovo tunnel stretto pieno di negozietti dell'usato, una nuova rampa di scale nascosta.
Camminare per Kobe è come camminare dentro di te.
È come afferrare la mano tesa di qualcuno che promette di portarti in un posto speciale e finisce che il posto speciale è dentro sè stessi.
Kobe è un po' sudicia e trasandata. I muri sono rigati di smog e i marciapiedi appiccicati di gomme. Le suole delle scarpe diventano nere se si cammina nella stazione della metro. A volte si sente puzza di tabacco emanata dai negozi dell'usato, le lampade delle gallerie lampeggiano e in pieno giorno finisci per trovarti in posti angusti completamente deserti e in penombra. È un posto perfetto per un romanzo.
È misteriosa. Finché non ti porta dove vuole, non capisci dove andrai a finire. È un labirinto in cui non puoi fare a meno di entrare perché è un labirinto in cui puoi affrontare il tuo passato faccia a faccia.
Se la vostra vita è un casino e non sapete da dove cominciare a sciogliere i nodi, partite da Kobe. Innamoratevi di Kobe, fatevi guidare, perdetevi, sbucate su un balcone da cui vedete il punto di partenza e poi riscendete giù nelle viscere della periferia e camminate ancora, e scendete ancora.
Quando la sera rimonto sul treno per Koshien, sento di essere felice.
Se Kobe fosse un ragazzo, sarebbe uno di quelli che non dice mai "ti amo". Sarebbe uno di quelli che ti trascinerebbe ore e ore in silenzio fino al suo angolo nascosto e introvabile, per farti capire che sei speciale.
Kobe è una città che sa amare. Sa amare come sa amare un Giapponese, in silenzio.
Amo andare a Kobe.
Con L-chan l'altro giorno siamo andate in esplorazione dei Furugiya-san, o negozi di vestiti usati, alla ricerca del nostro primo kimono. Normalmente costano sui 2000 euro, ma all'usato si trovano per poco meno di 10... sono kimono vecchissimi, di circa 100 anni.
Ho pensato che fosse una fortuna immensa... possedere un kimono di 100 anni è un'emozione meravigliosa.
Questo kimono ha visto l'apertura del Giappone all'Occidente, la modernizzazione di un intero Paese, una Guerra Mondiale, il primo bombardamento atomico della storia, un terremoto devastante, ma ha anche accompagnato qualcuno ogni anno a vedere i fiori di sakura; forse qualcuno l'ha indossato a un matrimonio, o durante la festa della maggiore età. Dalla nonna, alla mamma, alla figlia che a sua volta è diventata mamma, tutte queste donne con quali sentimenti hanno indossato tale abito?
Al pensiero di poter possedere un tale oggetto, io e L-chan eravamo così emozionate.
Siamo scivolate in ogni vicolo della città, toccato decine di drappi di seta, confrontato fantasie, colori, provato dozzine di abiti specchiandoci nelle vetrine polverose delle botteghe.
Alla fine l'abbiamo preso. L-chan uno salmone che richiama i colori del tramonto, io un kimono color giada con disegni di fiori rosa e blu. L'ho chiamato Shizu-chan, perché per me è come un racconto silenzioso di un secolo difficile e meraviglioso. Manca ancora la sottoveste e la cintura, ma va bene così. Torneremo a Kobe anche per quelle.
Parlerò più spesso di Kobe, della China Town e dei frappè con la tapioca.
Vi racconterò della sua magia, e un po' me la terrò per me, perché dovete vederla da soli.
Un bacio, Dafne.

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