mercoledì 14 maggio 2014

Datemi due cerotti.

Datemi due cerotti, due cerotti belli grandi.
Uno per tapparmi la bocca, l'altro per la sbucciatura sulla nocca della mano.
Ma andiamo con ordine.
Oggi vi racconto cosa vuol dire essere me.

Sono fiera di illustrarvi una storia tutt'altro che banale: la mia.
Sí, perché mi sono resa conto che di tutte le cose che nornalmente i miei coetanei hanno fatto, me le sono fatte mancare tutte...
Rimpiazzandole con altre, forse.

Gli eventi che hanno caratterizzato ogni grande passo della mia vita sono state delle sciocche coincidenze.
Suppongo che dire così non renda l'idea, ma potrò illustrarvele un giorno a voce.
Il fatto é che è una catena durata anni, di cui ho visto il percorso solo adesso. Doveva andare così.
Per questo anche ora, sebbene non capisca che senso abbia tutto, so che sono dentro una nuova catena, o, per meglio dire, sono a metà (o forse a un terzo o un quarto, chissà) di quella di prima.
C'è un percorso finemente studiato dietro, qualcosa in cui non posso interferire.
Ma.
Non credo di essere particolarmente sensibile, a dirla tutta faccio una fatica immensa a capire la gente. Ho solo qualcosa di bizzarro e inspiegabile.
Credo di avere un'aurea strana e irregolare, che cambia continuamente e in 18 anni non ho mai trovato una sola persona con cui entrare davvero in sintonia. Forse non esiste.
Si sente parlare di estremi, di chi vede il mondo in modo troppo banale, e di chi lo vede in modo completamente stravolto.
Io il mondo più che vederlo lo guardo. E come sempre, quando si guarda davvero qualcosa, si finisce per tingerlo con il proprio colore, i propri pensieri, e non è più una cosa qualunque ma ha ormai qualcosa di nostro.
La vita ha qualcosa di mio che la rende un completo casino, con giornate oggettivamente uguali ma che nel mio cervello assumono mille sfumature diverse. L'ho fatto così mio che a volte me ne compiaccio, perché mi sorprendo di quanto a volte la forma di un sasso, il disegno che una rana traccia in aria saltando o le lancette di un orologio mi assomiglino, se pur in astratto.
Ma.
Quando il mondo non mi assomiglia, quando non lo capisco, quando le cose non vanno come vorrei, quando ci sono quelle giornate in cui niente mi rispecchia, nemmeno i sassi o i salti delle rane, mi sale un po' l'amaro.
Sì, perché quando il mondo che mi sono creata mi lascia sola, significa che sono io stessa ad avermi abbandonata.

O a essermi persa.

Lo so, dove mi sono persa stavolta. Mi sono persa in un sogno bellissimo.
E sono così stanca che un po' mi lascio sfuggire qualche parola di troppo, tant'é che tra ieri e oggi ho rischiato di litigare due volte per delle banalità.
Sono così stanca che per non mettermi ad urlargli di fronte sono dovuta scivolare via sorridendo e correre appena svoltato l'angolo, correre e inciampare e sbucciarmi le nocche delle mani.
Datemi due cerotti.
Vorrò continuare a urlare, e la sbucciatura fará ancora male, ma almeno nessuno se ne accorgerà.
Voglio smettere di litigare con Oli ogni volta che mi dice di essere felice e innamorato. Sì, perché gli voglio bene.
Voglio smettere di abbassare gli occhi e affrettare il passo ogni volta che passo vicino al mio sogno bellissimo tentando di convincermi che non esiste, non è mai esistito.
Non esisti, mi ripeto, ma lui è lì. Anzi è qui, qui dentro.

Essere me significa averlo qui dentro sempre, 24 al giorno, 7 giorni su 7. Averlo dentro e basta, perché fuori non ce l'avrò mai.

Dicono che passa e io ci credo, perché è sempre passato tutto.
Ma sono ancora sola, sola circondata da un mondo diverso dal solito tra l'altro.

La prossima settimana farò i test di metà quadrimestre, per la prima volta in tutto l'anno.
La cosa mi rende felice visto che seguo ogni lezione e prendo appunti, ma so che fallirò miseramente (hey dude, it's Japanese!).
In compenso seguire le lezioni mi ha portata a una scoperta interessante.
La professoressa di Società Contemporanea ci ha fatto disegnare un albero, e a seconda delle caratteristiche ci ha dato una descrizione quasi esatta della nostra personalità.

Allora mi è sembrato tutro chiaro, quasi banale. Nel mondo che mi sono cucita addosso, non sono io ad assomigliare al sasso, al salto della rana o alle lancette, ma il contrario.
Proprio come l'albero che ho disegnato, tutto ciò che vedo lo interpreto secondo i miei canoni.
Com'è che allora adesso non mi rispecchio più in niente? Ho cambiato canoni, li ho persi?

Ho detto spesso che il Giappone ha il potere di prendere ciò che c'è di guasto nell'anima delle persone e mescolarlo, colpirlo e sradicarlo con una forza immensa, fino a guarirti.
Che mi stia guarendo anche stavolta? Ce la farà, in appena un mese e mezzo?

Mah, sono solo i discorsi di una strampalata come me, per cui potete anche non farci caso.
Ma intanto datemi quei cerotti, e subito!

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